26 novembre 2017
Ricordo ancora quella data. E’ impressa sulla medaglia che custodisco preziosamente nel cassetto del comodino insieme ai miei più cari ricordi. E’ impressa, accanto al mio nome, anche su quella targa che il coach mi ha fatto preparare per premiare la “Maratona perfetta”.
E’ stata una data-spartiacque. Da quel momento, infatti, la vita mi ha messo duramente alla prova. Mi sono scontrata con la malattia che si è abbattuta sulla mia famiglia nella forma più crudele, mi sono confrontata con l’ineluttabile destino e con la necessità di rimboccarmi le maniche sul lavoro per dimostrare a tutti quello che so e che posso fare…
Credo che sia stata come una prova profetica. Perché portare a termine una maratona ti rende così forte da farti capire che potrai affrontare qualsiasi sfida. A testa alta, continuando ad andare avanti finché non taglierai il tuo traguardo e scoppierai a piangere di gioia.
Quel 26 novembre a Firenze pioveva a dirotto, tirava vento, mi cadevano rami in testa dagli alberi e le mani erano così congelate che non riuscivo nemmeno ad afferrare i bicchieri di the caldo che mi venivano offerti ai ristori. Era la mia prima maratona, l’unica finora, e io inveivo contro Giove pluvio e contro i miei compagni di disavventura per questo esordio infelice sulla regina delle distanze. Tutti mi avevano detto: “Goditi ogni chilometro!”. Io non godevo per nulla perché avrei voluto una giornata diversa. Avrei voluto un po’ di sole, avrei voluto guardare con il sorriso il dolce fluire dell’Arno lungo il percorso e attraversare il Parco delle cascine ingentilito dai colori autunnali. Invece ero lì a strofinarmi gli occhi appannati dall’acqua e a contare le pozzanghere gelide in cui mi si infilavano le scarpe. Alla fine, però, proprio verso gli ultimi chilometri ho visto il sole fare capolino tra le nuvole e ho capito che tutto quello che avevo vissuto in quelle ore aveva un senso e che la sofferenza avrebbe avuto una fine.
La maratona è una maestra di vita, per questo consiglio a tutti di provarla con la consapevolezza che 42,195 chilometri non possono essere improvvisati.
La fatica della maratona non risiede, infatti, nella gara in sé ma nella sua preparazione. E’ in quei mesi, tre per un corridore esperto e circa sei per chi è alle prime armi, che si forgia il carattere e si pongono le basi di come si correrà quel giorno.
Il mio consiglio è quello di tarare l’allenamento sulla base delle proprie disponibilità in termini di tempo e di impegno. Io ho ottenuto un buon risultato allenandomi tre volte alla settimana, con la medesima cadenza delle mie uscite abituali: una mattina durante la settimana, il sabato e la domenica.
Se potete, fatevi seguire da un allenatore esperto oppure affidatevi a una tabella già pronta (ce ne sono diverse su Internet). Ovviamente è meglio se avete già messo in cantiere qualche mezza maratona per capire qual è il vostro potenziale.
Per il mio esordio non mi ero posta un obiettivo di tempo. L’unico obiettivo era arrivare alla fine senza stramazzare e anche con un buon riscontro cronometro per il mio potenziale.
Qualche volta è capitato che saltassi un allenamento ma mai ho evitato i lunghi della domenica. La resistenza sulla lunga distanza si costruisce infatti su questo terreno. A discapito di quanto sostengono alcuni, il mio allenatore mi ha fatta arrivare a correre fino a 38 chilometri, una distanza che fa paura ma che mi ha abituata psicologicamente a tutto. Durante quell’allenamento, infatti, credo di aver corso la mia vera maratona.
Non perdete mai la fiducia in voi stessi, dunque. E’ normale pensare che un traguardo sia irraggiungibile ma il nostro corpo è capace di abituarsi a tutto con gradualità. Ciò che fino a una settimana prima sembrava impossibile diventerà alla vostra portata.
Il bello della maratona è proprio questo: renderci capaci di cose che mai avremmo immaginato di poter fare. Io ci ripenso tutti i giorni, ora che la vita ha deciso di mettermi duramente alla prova. Ho capito che il sole tornerà a splendere e che io riuscirò a tagliare il mio traguardo con il viso bagnato da lacrime. Non di dolore ma solo di gioia.
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