“Lasciate ogni speranza voi che entrate”. Il celebre verso dantesco campeggia a grandi lettere sopra la partenza dell’Inferno run, una delle Mud run più partecipate d’Italia, ospitata sabato 22 ottobre al Parco delle cascine di Firenze. Una minaccia o una promessa?
Se lo sono chiesto gli oltre 2.000 partecipanti, tra cui ben 700 donne, che hanno affrontato i 20 ostacoli disseminati lungo un percorso di 10 km dell’ultima tappa del campionato italiano di Mud run, vinto da Stefano Colombo per gli uomini e da Ginevra Cusseau per le donne (Ilaria Paltrinieri si è aggiudicata invece la singola prova).
A chiedermelo, in effetti, c’ero anche io, più avvezza al fango termale e ai percorsi benessere che alla sofferenza a tutti i costi, convinta però a partecipare dalla beata incoscienza e da un gruppo di guerriere davvero speciali, che mi hanno accolta nella loro squadra: la bellissima e tostissima Justine Mattera e le strong women Cristina, anima e cuore di Run and the City, e Manuela ed Elisa delle Women in run.
Senza di loro, devo ammetterlo, non avrei mai avuto né la forza né il coraggio per superare gli ostacoli, tutti battezzati con inquientanti nomi infernali come Caronte, Flagentonte o Lucifero, che hanno costellato il percorso: dal primo muretto di legno fino alla temuta vasca di ghiaccio del finale con sorpresa.
Loro erano lì, a guardarmi, a tendermi la mano, a darmi il buon esempio, ad aspettarmi alla fine di ogni prova, alla faccia di chi sentenzia che non esiste la solidarietà al femminile. O, semplicemente, a dirmi: “No, questo non lo facciamo”.
Perché, devo ammetterlo, qualche ostacolo a rischio infortunio lo abbiamo saltato. Tranne la maledetta vasca di ghiaccio, appunto, che all’inizio ci eravamo ripromesse di aggirare. Quando però ho visto le ragazze tuffarsi in mezzo ai cubetti galleggianti con la stessa nonchalance con cui si entra in una piscina termale, non mi sono potuta tirare indietro. Per un attimo, ho creduto di morire, percependo una botta al cuore (l’acqua arrivava fino al petto!) e sentendo le gambe completamente immobilizzate e trafitte da punte di spillo. Ho urlato di tirarmi su in preda al panico e, appena uscita, ricordo di aver detto alle ragazze: “Ma voi siente matte!”. In confronto, il fango acquistrinoso in cui si doveva strisciare subito dopo è stato una passeggiata di salute.
Quando si fanno queste cose, però, ci si sente dominate da un senso di onnipotenza, grazie alla raffica di adrenalina che entra in circolo. Così ho tirato dritto e chiuso la gara in 1h30′ circa, tra abbracci, sorrisi, foto e tanto divertimento.
Perché questo era lo spirito giusto con cui affrontare la prova, che ha visto le eroiche partecipazioni di Andrea Pacini, sulla sedia a rotelle dal 2008 in seguito a un grave incidente in moto, accompagnato dai ragazzi dell’associazione Spingi la vita, o di Costantin Bostan, che ha corso con una protesi a una gamba. Due esempi di tenacia, perfetti per raccontare le molte facce di questa manifestazione, che devolverà una parte dei proventi alla Fondazione Tommasino Bacciotti.
Ora è lunedì e, anche l’inferno è stato superato. Sono tornata di nuovo sui tacchi e ho rivestito i panni borghesi di una fashion runner. Ma le campestri sono dietro l’angolo e sento che io e il fango avremo ancora molto da dirci. Questa volta però non ho più paura di nulla. Ciò che non uccide, fortifica. Parola di diavolessa.
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